lunedì 31 agosto 2015

IL PARENTE DI LAGIOIA

Mi avvicinai alla FEROCIA di Lagioia perché mi avvicinai a Lagioia su Facebook.

Avevo scritto un romanzo che ritenevo “riuscito”, cercavo contatti di qualunque tipo con personaggi influenti nel mondo dell'editoria e lo aggiunsi ai contatti.
Nicola stava lavorando (in Minimum Fax, suppongo) e le mie domande incalzanti dovevano risultargli un po' noiose.
Tuttavia mi rispondeva, era gentile, mentre pensava "e questo che cazzo vuole?" (ho il potere di leggere la mente delle persone con cui chatto, io) e temperava la punta delle sue matite.

Cercavo un modo per fargli conoscere chi sono, per sbolognargli il mio lavoro, e intanto gli scrivevo amenità del tipo "ho conosciuto la tua Valeria Parrella quando era all'università: già allora si atteggiava a intellettuale sofferente e - in sostanza - era solo un vuoto pneumatico in bella forma".

Nonostante la mia uscita infelice - è vero che la Parrella è solo forma, ma certo non potevo andarlo a scrivere al suo "scopritore", l'editor di Mosca più Balena – Lagioia mi diede retta, abbozzò, mi consigliò di partecipare al Calvino (che poi non vinsi), non mi cancellò dagli amici di Facebook e – per lui – sopravvissi.
Gaffes come quella sulla Parrella sono gaffes che faccio spesso. Sono notoriamente un gaffeur, consapevole di esserlo e tuttavia incorreggibile.

Comunque... Passò del tempo... Da mesi avevo tra gli amici/contatti di facebook il signor Nicola Lagioia e - a un certo punto, improvvisamente - venni a sapere che l'editor di Minimum Fax era diventato uno scrittore di Einaudi... e poi che “Nicola Lagioia (Einaudi) ha vinto il premio Strega”.

Non lo comprai subito, perché avevo altro da leggere (nella fattispecie, stavo leggendo IL CENTODELITTI di Scerbanenco)... per cui, per un po', me ne dimenticai.
Ci sono tanti libri e tanti romanzi, al mondo, e non mollo tutto - all'improvviso - per un Lagioia qualunque, tanto più che mi aveva parecchio rotto le scatole che – l'anno prima – il premio in questione fosse andato a un mio concittadino, il Casertano Francesco Piccolo, uno che scriveva i testi per i cabarettisti locali che andavo a vedere a Casagiove e che vedevo passeggiare per via Mazzini quando ero ragazzo e lumavo le polacche.

Insomma: va bene, Lagioia aveva vinto lo Strega, ma non me ne fregava nulla. Tanto il mio romanzo “importante” non l'avrebbe letto comunque – a maggior ragione adesso - e Minimum Fax aveva già messo messo paletti su paletti per i nuovi autori che poteva anche arrivare Franz Kafka in persona e gli avrebbero risposto “Abbiamo troppo da fare e non riusciamo a stare dietro ai tuoi trip sugli scarafaggi”...

E poi mica sono Carver o Parrella, mica posso aspirare a un editore tanto fine, io.

Passando ancora del tempo in maniera indolente e fiacca, a un certo punto la mia labile attenzione venne attratta da un articolo pubblicato da IL GIORNALE a firma di tal Massimiliano Parente, intitolato IL MIO INNO A LAGIOIA.

Parente tirava fuori tantissime maldicenze su Lagioia, descrivendo la sua ascesa al potere tramite il lavoro di editor di scrittori "politicamente corretti", trasformandosi in amico di tutti e leccatore di tutti, a destra e a manca.


La cosa mi procurò enorme piacere perché – anche se non volevo ammetterlo – anche io stavo vistosamente rosicando... tanto più che rosicavo da molto più in basso di quanto rosicasse Parente, da casa mia (45 metri quadrati).

La prima cosa che feci, dopo aver letto l'articolo - anche perché intanto avevo finito il CENTODELITTI di Scerbanenco - fu quella di scaricare sul mio Kindle IL PIU' GRANDE ARTISTA DEL MONDO DOPO ADOLF HITLER, l'ultimo romanzo del signor Parente.

Cosa trovai? Trovai un libro molto bello, scritto da una furia che non temeva di mettere in gioco se stesso, con un grande talento comico e con un grande spirito da piacione (io sono bravo, io sono bello, io sono figo, io sono anticlericale, io sono geniale).
Mi entusiasmò e lo lessi in due giorni, trovandoci un lessico scurrilmente “alto” e una storia densa di spazzatura così ben congegnata e ben triturata da risultare formidabile come il miglior Balzac.

Intanto – mentre leggevo il romanzo - condividevo delle frasi che mi sembravano intelligenti, su Facebook, e qualcuno mi scrisse "Che fai? Leggi Parente? Un ego ipertrofico e vuotissimo."

A me il romanzo di Parente stava piacendo molto. Non mi sembrava vuotissimo. Anzi...
Lo finii in un paio di giorni, in apnea.

Contemporaneamente trovai – su Facebook – recensioni su blog e webzine, recensioni di Amazon e simili che definivano LA FEROCIA “un romanzo scritto malissimo”.
Lo scaricai, deciso che prima o poi l'avrei affrontato, ma il fatto che in tanti lo definissero “scritto con un linguaggio che solo Lagioia stesso capisce” e lo giudicassero “il vincitore incomprensibile di un premio inutile” mi bloccò per parecchio tempo.

Alla fine, dopo aver chiesto l'amicizia anche a Parente, mi venne in aiuto il bistrattato Facebook.

Il grande specchio deformante di Facebook illuminò le due personalità (tra le quali deve esserci stata una grande amicizia, in passato... ma nessuno dei due vuole darci particolari e possiamo solo immaginarcela)... Lo specchio deformante mi fece capire che il genio di Parente – visibile e tangibile attraverso il suo libro da me letto – era come offuscato, tarpato, obnubilato da una tendenza troppo forte e troppo grande a essere imbecille e ad autocompiacersi di esserlo.

Parente – da scrittore geniale di romanzi - si era già trasformato, nella sua parallela vita virtuale, in un mediocre scrittore di stati di Facebook.

Ne ricordo alcuni (cito a memoria):

Quando vedo le vostre foto al mare, mi fate schifo.

Hemingway era uno scrittore mediocre perché parlava del mare.

Non sperate che i vostri figli diventino dei grandi uomini: diventeranno imbecilli come voi.

…e amenità del genere.


A questo punto, indossai la mia maschera da gaffeur e gli scrissi:

Parente, perché butti via il tuo enorme talento: cancellati da Facebook.”

Parente, al contrario di quello che aveva fatto Lagioia, mi tolse immediatamente dai suoi “amici”.

Risultato: lessi immediatamente LA FEROCIA e – dopo una fatica iniziale a orientarmi e a superare le prime pagine – mi trovai davanti a due personaggi formidabili, due “fratellastri” della Bari bene che distruggono la propria famiglia e contemporaneamente ne sono distrutti: Michele e Clara.

Nel contempo: trovai – nel romanzo di Lagioia – un impegno nella costruzione e nella messa in scena che nel romanzo di Parente non c'era. Trovai – nel romanzo di Lagioia - un tentativo di creare un romanzo che descrivesse un'epoca, un Paese, una città... che nel romanzo di Parente non c'era e che Parente non avrebbe mai potuto scrivere, troppo impegnato a parlar male di Hemingway.

Insomma: alla prova dei fatti, Lagioia – forse dotato di minor talento assoluto di Parente - si era fatto un mazzo così per costruire un romanzo “con le palle” e Parente si era limitato a mettere le proprie “palle” e il proprio vomito dentro un romanzo.
Alla fin della tenzone, non potevo che consegnare la coppa del “migliore” a Nicola Lagioia.

EPILOGO

Come concludere una tale dissertazione?

Concluderei, se mi permettete, da buonista figlio dei fiori, fumando il calumet della pace e dicendo ai due contendenti (ovvero all'uomo di successo, Lagioia, e al talentuoso frustrato, Parente):

Ma chi se ne frega dei romaanzi
chi se ne frega dei romaanzi
di tutti questi artisti
di tutti questi libri?
Chi se ne frega dei romaanzi.”

Datevi la mano, amici d'un tempo. Magari scrivete un romanzo insieme, andate a mangiare insieme, fate il bagno insieme. Baciatevi con lo schiocco sulle guance.

E tu, Massimiliano Parente, fai cento volte - in ginocchio e con la lingua a terra - il Cammino da casa tua alla sede della Minimum Fax a Roma, prima di scrivere un'altra volta male di un romanzo bello e importante solo perché ti rode.


Augh! Ho parlato!

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