Mi
avvicinai alla FEROCIA di Lagioia perché mi avvicinai a Lagioia su
Facebook.
Avevo
scritto un romanzo che ritenevo “riuscito”, cercavo contatti di
qualunque tipo con personaggi influenti nel mondo dell'editoria e lo
aggiunsi ai contatti.
Nicola
stava lavorando (in Minimum Fax, suppongo) e le mie domande
incalzanti dovevano risultargli un po' noiose.
Tuttavia
mi rispondeva, era gentile, mentre pensava "e questo che cazzo
vuole?" (ho il potere di leggere la mente delle persone con cui
chatto, io) e temperava la punta delle sue matite.
Cercavo
un modo per fargli conoscere chi sono, per sbolognargli il mio
lavoro, e intanto gli scrivevo amenità del tipo "ho conosciuto
la tua Valeria Parrella quando era all'università: già allora si
atteggiava a intellettuale sofferente e - in sostanza - era solo un
vuoto pneumatico in bella forma".
Nonostante
la mia uscita infelice - è vero che la Parrella è solo forma, ma
certo non potevo andarlo a scrivere al suo "scopritore",
l'editor di Mosca più Balena – Lagioia
mi diede retta, abbozzò, mi consigliò di partecipare al Calvino
(che poi non vinsi), non mi cancellò dagli amici di Facebook e –
per lui – sopravvissi.
Gaffes
come quella sulla Parrella sono
gaffes che faccio spesso. Sono notoriamente un
gaffeur, consapevole di
esserlo e tuttavia incorreggibile.
Comunque...
Passò del tempo... Da mesi avevo tra gli amici/contatti di facebook
il signor Nicola Lagioia e - a un certo punto, improvvisamente -
venni a sapere che l'editor di Minimum Fax era diventato uno
scrittore di Einaudi... e poi che “Nicola Lagioia (Einaudi) ha
vinto il premio Strega”.
Non
lo comprai subito, perché avevo altro da leggere (nella fattispecie,
stavo leggendo IL CENTODELITTI di Scerbanenco)... per cui, per un
po', me ne dimenticai.
Ci
sono tanti libri e tanti romanzi, al mondo, e non mollo tutto -
all'improvviso - per un Lagioia qualunque, tanto più che mi aveva
parecchio rotto le scatole che – l'anno prima – il premio in
questione fosse andato a un mio concittadino, il Casertano Francesco
Piccolo, uno che scriveva i testi per i cabarettisti locali che
andavo a vedere a Casagiove e che vedevo passeggiare per via Mazzini
quando ero ragazzo e lumavo
le polacche.
Insomma:
va bene, Lagioia aveva vinto lo Strega, ma non me ne fregava nulla.
Tanto il mio romanzo “importante” non l'avrebbe letto comunque –
a maggior ragione adesso - e Minimum Fax aveva già messo messo
paletti su paletti per i nuovi autori che poteva anche arrivare Franz
Kafka in persona e gli avrebbero risposto “Abbiamo troppo da fare e
non riusciamo a stare dietro ai tuoi trip sugli scarafaggi”...
E
poi mica sono Carver o Parrella, mica posso aspirare a un editore
tanto fine, io.
Passando
ancora del tempo in maniera indolente e fiacca, a un certo punto la
mia labile attenzione venne attratta da un articolo pubblicato da IL
GIORNALE a firma di tal Massimiliano Parente, intitolato IL MIO INNO A LAGIOIA.
Parente
tirava fuori tantissime maldicenze su Lagioia, descrivendo la sua
ascesa al potere tramite il lavoro di editor di scrittori
"politicamente corretti", trasformandosi in amico di tutti
e leccatore di tutti, a destra e a manca.
La
cosa mi procurò enorme piacere perché – anche se non volevo
ammetterlo – anche io stavo vistosamente rosicando... tanto più
che rosicavo da molto più in basso di quanto rosicasse Parente, da
casa mia (45 metri quadrati).
La
prima cosa che feci, dopo aver letto l'articolo - anche perché
intanto avevo finito il CENTODELITTI di Scerbanenco - fu quella di
scaricare sul mio Kindle IL PIU' GRANDE ARTISTA DEL MONDO DOPO ADOLF HITLER, l'ultimo romanzo del signor Parente.
Cosa trovai? Trovai un libro molto bello, scritto da una furia che
non temeva di mettere in gioco se stesso, con un grande talento
comico e con un grande spirito da piacione (io sono bravo, io sono
bello, io sono figo, io sono anticlericale, io sono geniale).
Mi entusiasmò e lo lessi in due giorni, trovandoci un lessico
scurrilmente “alto” e una storia densa di spazzatura così ben
congegnata e ben triturata da risultare formidabile come il miglior
Balzac.
Intanto – mentre leggevo il romanzo - condividevo delle frasi che
mi sembravano intelligenti, su Facebook, e qualcuno mi scrisse "Che
fai? Leggi Parente? Un ego ipertrofico e vuotissimo."
A me il romanzo di Parente stava piacendo molto. Non mi sembrava
vuotissimo. Anzi...
Lo finii in un paio di giorni, in apnea.
Contemporaneamente
trovai – su Facebook – recensioni su blog e webzine, recensioni
di Amazon e simili che definivano LA FEROCIA “un romanzo scritto
malissimo”.
Lo
scaricai, deciso che prima o poi l'avrei affrontato, ma il fatto che
in tanti lo definissero “scritto con un linguaggio che solo Lagioia
stesso capisce” e lo giudicassero “il vincitore incomprensibile
di un premio inutile” mi bloccò per parecchio tempo.
Alla
fine, dopo aver chiesto l'amicizia anche a Parente, mi venne in aiuto
il bistrattato Facebook.
Il
grande specchio deformante di Facebook illuminò le due personalità
(tra le quali deve esserci stata una grande amicizia, in passato...
ma nessuno dei due vuole darci particolari e possiamo solo
immaginarcela)... Lo specchio deformante mi fece capire che il genio
di Parente – visibile e tangibile attraverso il suo libro da me
letto – era come offuscato, tarpato, obnubilato da una tendenza
troppo forte e troppo grande a essere imbecille e ad autocompiacersi
di esserlo.
Parente
– da scrittore geniale di romanzi - si era già trasformato, nella
sua parallela vita virtuale, in un mediocre scrittore di stati di
Facebook.
Ne
ricordo alcuni (cito a memoria):
Quando
vedo le vostre foto al mare, mi fate schifo.
Hemingway
era uno scrittore mediocre perché parlava del mare.
Non
sperate che i vostri figli diventino dei grandi uomini: diventeranno
imbecilli come voi.
…e
amenità del genere.
A
questo punto, indossai la mia maschera da gaffeur e gli
scrissi:
“Parente,
perché butti via il tuo enorme talento: cancellati da Facebook.”
Parente,
al contrario di quello che aveva fatto Lagioia, mi tolse
immediatamente dai suoi “amici”.
Risultato:
lessi immediatamente LA FEROCIA e – dopo una fatica iniziale a
orientarmi e a superare le prime pagine – mi trovai davanti a due
personaggi formidabili, due “fratellastri” della Bari bene che
distruggono la propria famiglia e contemporaneamente ne sono
distrutti: Michele e Clara.
Nel
contempo: trovai – nel romanzo di Lagioia – un impegno nella
costruzione e nella messa in scena che nel romanzo di Parente non
c'era. Trovai – nel romanzo di Lagioia - un tentativo di creare un
romanzo che descrivesse un'epoca, un Paese, una città... che nel
romanzo di Parente non c'era e che Parente non avrebbe mai potuto
scrivere, troppo impegnato a parlar male di Hemingway.
Insomma: alla prova dei fatti, Lagioia – forse dotato di minor
talento assoluto di Parente - si era fatto un mazzo così per
costruire un romanzo “con le palle” e Parente si era limitato a
mettere le proprie “palle” e il proprio vomito dentro un romanzo.
Alla fin della tenzone, non potevo che consegnare la coppa del
“migliore” a Nicola Lagioia.
EPILOGO
Come concludere una tale dissertazione?
Concluderei,
se mi permettete, da buonista figlio dei fiori, fumando il calumet
della pace e dicendo ai due
contendenti (ovvero all'uomo di successo, Lagioia, e al talentuoso
frustrato, Parente):
“Ma
chi se ne frega dei romaanzi
chi
se ne frega dei romaanzi
di
tutti questi artisti
di
tutti questi libri?
Chi
se ne frega dei romaanzi.”
Datevi
la mano, amici d'un tempo. Magari scrivete un romanzo insieme, andate
a mangiare insieme, fate il bagno insieme. Baciatevi con lo schiocco
sulle guance.
E tu, Massimiliano Parente, fai cento volte - in ginocchio e con la
lingua a terra - il Cammino da casa tua alla sede della Minimum Fax a
Roma, prima di scrivere un'altra volta male di un romanzo bello e
importante solo perché ti rode.
Augh! Ho parlato!
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